POESIE
PER IL PADRE PERSO
E
PER IL FIGLIO RITROVATO
AD UN FIGLIO
Dietro l’ultima luna nuova
sprofonda il mondo tra foglie di rosa.
La ragione è un’immagine senza sangue
un pianeta poroso
alla deriva nella notte
di glicini neri.
Agili ore aprono cassetti riempiti di sogni:
tu, che mi parli senza sbagliare,
comprensibile anche alle stelle;
oppure scrivi lunghe pagine di pensieri,
che forse per avarizia o timore,
serbi solo per te.
Sei felice come io non penso
che si possa essere felici.
E’ forse questo il mio sbaglio ?
Quello che la vita lascia incompiuto
il sogno ripara
E così cadono le immagini
sul mio volto umido.
Mi accorgo dell’abisso e
del mio cammino rasente.
E nel quieto silenzio nulla ho da dirti,
perché è solo mio questo peccato.
Ritorni improvviso.
Ti sei avvicinato
troppo al sogno.
Non dovevi destarmi.
Ora so che abiti
la lontananza.
Immagino il tuo cammino
oltre il nero dell’orizzonte.
Potresti essere di nuovo bambino,
ed io padre a cullarti;
o ancor più canuto,
ed io figlio ad ascoltarti;
Avere ali,
ed io a mirare il tuo volo.
Ma resta il sangue
dentro ai sassi
e respiri di terra.
Posso, in un’immagine grigia,
carezzare il ricordo dell’amore.
Verso sera
i passi ritornano a casa,
si quieta l’uscio,
le bifore stanche
calano le palpebre.
Nell’immenso ripostiglio
del mondo
ogni oggetto riprende
il suo posto
eppure una scheggia
rotola sulla pelle, nelle parole
e dentro i pensieri.
E’ la tua assenza
che non ha logica.
La morte è una pietra
che nasconde sangue,
il vuoto dell’assenza:
un letto con un guanciale
solo
Un giorno
ho pensato alla luce
ad un campo d’orzo
ad un fiore azzurro.
Così ti ho immaginato
come un’ora d’estate
dopo un duro inverno.
Il mio seme gioioso
ha illuminato il ventre
di tua madre
C’era armonia
in quel pensare
e mi cullavo
anche io
regredito ad abbozzo di vita
nell’utero beato delle mie
illusioni.
Un giorno
senza luce
bruciò le speranze d’ottobre
sulla lingua
caligine e ferro
ed un fiore zoppo
nel prato.
A volte si sceglie
l’ombra, il baccello
delle lacrime
l’abbraccio buio
della luna
per proteggere
il cervello dal
vedovile dolore.
Ma tu mi hai cercato
come una radice
cerca l’acqua
il tuo sorriso di piuma
ha disciolto
la notte della casa
ed io posso immaginare
vedendo i tuoi occhi
la gioia di Dio
quando diede fuoco alle stelle.
Io ti aspetterò qui
in questo posto freddo
che sa di vecchio cortile
di terra battuta.
Ti attenderò
senza attendere
la tua voce ne saluti
in silenzio
quieto
come il passaggio
di una nuvola.
Perché ci sarà
un posto dove
non riconosceranno
i tuoi occhi obliqui
dove i tuoi pensieri
brilleranno
sulle ombre dei sospetti
dove le differenze
cesseranno
di farci soffrire.
Lì
troverai le parole giuste
per fermare
le mie lacrime
che non vogliono
essere piante.
Mi basterebbe sapere
di trovarti là
nella stanza accanto
alla mia
seduto sulla tua sedia
a bere
proverei a chiamarti
per ascoltare
il tuo silenzio.
Nel frastuono
di una camera
il colpo di un fucile
ricorda la morte
svuota le case
e le sedie
riempie di immagini
la memoria.
Quella stanza che fu vuota
solo per l’ora delle lacrime
riannoda le solitudini
e germinando muore
il ricordo.
Vorrei prendere tra le dita
un tuo pensiero
L’osserverei per vedere se c’è sangue
l’addenterei per scoprire se è di metallo
o cioccolata.
Se nasce dal vuoto
il mio destino è di riempirlo?
Se è vero che i nostri pensieri sono
la parte migliore di noi stessi
io non ti conosco.
E per conoscerti resto
a guardarti mentre
ti addormenti
anche stasera
non sveli nulla
dei tuoi segreti.
Mi leggi dentro
e cancelli i miei
brutti sogni
senza ribellione.
Getto le mie mani tra i tuoi capelli
cerco non so più cosa
forse il passato ed il presente
di un’abitudine che non si perde.
Come bagliori mi riscaldano
le tue confusioni
nel mio sguardo le raccolgo
l’esca che splende
sul volto dell’acqua
affoga i pensieri senza timone
scusami anche stasera
ho sbagliato
ti ho giudicato
invece di amarti
Quando nevica
penso ai morti
a mio padre
chissà se ha freddo
No.
Sono io il punto
di sutura tra la morte
e la dimenticanza.
C’ è silenzio in aprile
l’amore lontano
mille nuvole folli
cercano il cielo
il cielo non imprigiona
i suoi figli.
E quel sole cattivo
semina ancora cuori di luce
invece
io ti cerco
nel buio della morte.
Dalla finestra la luna
guarda Francesco.
Non dorme.
Occhi davanti al vetro
tra le fessure dell’imposta.
Nessuna parola.
Eppure la luna e Francesco
si parlano
Io non capisco.
Il dolore che conosciamo è fermo
lungo questi giorni
con le foto sui comodini
e si resta confusi se alla memoria
non risale il ricordo della voce.
Qui, da fuori il marmo, noi pensiamo
ancora a vivere
come a dimenticarci di non soffrire.
E da un moto inatteso, lungo la strada
che si restringe nella città
davanti ad una caserma vuota
ritorna una luce di posti già visti.
Si può piangere per uno sguardo
non condiviso.
Appendo questi versi
nel vuoto dell’infinito
non per resistere al tempo
ma per correre
nella direzione opposta
al dolore.
Ricorderemo come
belle le parole
che un tempo
ci apparivano inutili
e anche i giorni
quelli in cui non
succedeva nulla
saranno cimeli
da spolverare
con devozione.
Quando resteremo soli
dietro le finestre
a guardare
il passato
come ad una storia
vecchia e distante
scopriremo che
fummo felici
a nostra insaputa.
Il grande nespolo non porta
frutti, troppo freddo da queste parti,
mi consigliano di tagliarlo.
Io difendo la sua sterilità e lo osservo
stagliarsi sempre più in alto nel cielo.
L’hai piantato tu
ti divertivi a
interrare ogni seme che ti capitava tra
le mani e poi sorpreso annunciavi
il nuovo germoglio.
Forse è questa eredità che mi rattrista
stasera,
penso all’inutile sforzo delle fronde
di raggiungerti in cielo
e tu naufrago da questa esistenza
non avere più semi da piantare.
Come saranno i tuoi anni senza di me?
Non ci sarò a coprirti le spalle
a darti quella forza che ti manca
per poterti salvare da solo
Io con l’insaziabile
fame di padre
mi nutro dei rimorsi
e della pena di affidarti
anni di cui non conosco
le stagioni.
Cercherai tua madre
più di me
con lo stupore
che è in te
ci penserai
là dove si può essere
solo immaginati
come i sogni che t’inventi
la sera prima di dormire.
Ma anche nella mia legittima pena
continuo a sbagliare
immaginandoti sempre
eterno bambino
tu traccia luminosa del mio cielo
saprai inginocchiarti e pregare
e dopo chiederti
perché ti ritenemmo
indifeso
se per tutto il tempo
della nostra vita
ci salvasti
dal non esistere
semplicemente
amandoci.
18/04/03
Dentro di me, mio padre:
un suono, un viso, un profumo
il silenzio di pomeriggi nella
casa che rispettava il tuo riposo
o l’allegria dell’improvviso ritorno.
Uno spazio. Uno spazio sacro
Ritagliato nel tempo. Uno spazio interiore.
Un tracciato oscuro nella valle iridescente
del cuore.
Io, unico possessore, per sempre rifugio.
Mio fratello non torna col pensiero a colui
che ha perso, non riconosce il posto vuoto.
Non ha senso sopportare tanto castigo.
Cerca la fuga, ma c’è solo questo fuggire.
Dovunque ti trovi sarà con te la sua assenza
dovunque cercherai ci sarà un altro vuoto,
nostro padre non è la dimenticanza,
è dentro di noi:
la nostra coscienza di uomini.
IL FIGLIO IMMAGINATO